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Talebani pigliatutto

Annunciato il nuovo esecutivo dell'Emirato islamico d'Afghanistan. Governo teocratico, a interim e pashtun

7 Set , 2021

Talebani pigliatutto

Uno-due. Doppietta veloce e muscolare dei Talebani. Spallata militare e stretta politica. Il nuovo Emirato islamico d’Afghanistan nasce con una duplice offensiva, in poco più di un mese. Prima la rapida marcia verso Kabul, poi tra Kandahar e la capitale le consultazioni sul nuovo esecutivo. Tutto targato turbanti neri, pashtun. Legittimità religiosa, continuità di orientamento, serrata dei ranghi. Premiata la vecchia guardia, garante della longevità e purezza ideologica del movimento. Ma anche la componente militare, i cui successi ne hanno consolidato la posizione e garantito posti importanti. Fuori dall’esecutivo tutti gli altri. A partire dagli esponenti della defunta Repubblica islamica.

Al progressivo accerchiamento militare dei capoluoghi di provincia e poi di Kabul, fa seguito una scelta politica introversa. Tutta concentrata sugli equilibri interni. Per soddisfare ambizioni, appetiti, interessi quanto più rappresentativi possibili del policentrismo dei Talebani. I fondatori del movimento cementano il nuovo esecutivo. Haibatullah Akhundzada rimane l’Amir al Mumineen, la guida dei fedeli. E’ stato nominato nel maggio 2016 dopo che il predecessore, mullah Mansour, era stato ucciso da un drone americano mentre viaggiava nel Baluchistan pachistano, al ritorno da una visita in Iran.

Scelto grazie alle alte credenziali religiose e la reputazione di mediatore, ha traghettato il gruppo dal rischio di frammentazione successivo alla morte del fondatore mullah Omar fino alla conquista del Paese. Lo scettro più alto è il suo, come l’ultima parola. Si dice che sia debilitato. Rimanere fuori dall’esecutivo, ammantato dell’autorevolezza religiosa, gli permette di continuare a farsi garante degli equilibri interni, senza stancarsi troppo. Il ruolo di primo ministro, a capo del governo, è di un altro esponente della vecchia guardia, mullah Hassan Akhund.

Tra i nomi noti solo agli interni e agli addetti ai lavori, è tra i fondatori dei Talebani e ha già ricoperto incarichi importanti nel primo Emirato islamico d’Afghanistan: ministro degli Esteri e vice del primo ministro di allora. Dopo il rovesciamento dell’Emirato nel 2001, ha guidato la Rahbari shura, l’organo di rifondazione e di orientamento politico del gruppo. Sotto sanzioni da parte delle Nazioni Unite, si dice sia stato lui, nel 1996, a porgere il mantello appartenuto a Maometto e indossato da mullah Omar quando venne riconosciuto come Amir al-Mumineen.

Uno dei suoi due vice sarà mullah Abdul Ghani Baradar, dato a lungo come candidato per il posto assegnato invece ad Hassan Akhund. La storia di Baradar, spesso presentato come mediatore pragmatico ma anche lui con esperienza militare, è esemplare. Catturato nel 2010 in Pakistan, imprigionato perché troppo in anticipo sui tempi del negoziato, che era pronto a fare con l’amministrazione Karzai, è stato liberato nel 2018 per favorire il dialogo diplomatico. Le foto di allora, in manette e dimagrito, con gli occhi spauriti, e quelle di oggi, riverito come nuovo padrone del Paese, la dicono lunga.

Andrebbero confrontate anche le foto di ieri e di oggi dei “Guantanamo five”. Pronti alla resa negoziata nel 2001, sono stati sbattuti in carcere. Rilasciati nel 2014 in cambio della liberazione da parte dei Talebani del sergente Bowdal. Poi al tavolo negoziale di Doha, dove hanno contribuito al successo diplomatico dell’accordo bilaterale firmato il 29 febbraio 2020 con gli Stati Uniti. Per quattro di loro, posizioni importanti. Vale anche per mullah Yaqub, figlio del fondatore e guida del movimento mullah Omar e già a capo della Commissione militare, che diventa ministro della Difesa. Agli Interni va Sirajuddin Haqqani, leader della rete Haqqani, organizzazione terroristica secondo gli Stati Uniti, responsabile degli attentati più sanguinosi nel corso di questi lunghi anni di conflitto.

Un governo di mullah, teocratico, a interim. Pashtun. I Talebani sanno parlare bene tra di sé, non con il resto della società e della politica afghane. Una concezione monopolistica del potere e della sovranità che li danneggerà, ora che da gruppo guerrigliero ambiscono a farsi gruppo di potere politico e istituzionale. Le preoccupazioni per la tenuta interna del movimento è evidente: viene meno l’obiettivo comune, la lotta contro l’occupazione straniera. Si fanno più chiare le divisioni interne. Ma la sovranità è intesa come stretta sul potere di un gruppo chiuso, ristretto, organico. Pretende di rappresentare un’intera nazione, una società da 35 milioni di abitanti. Ma la pashtunizzazione delle istituzioni, di cui già era accusato il presidente accentratore Ashraf Ghani, porta con sé contestazioni.

L’annuncio del governo arriva due giorni dopo che la bandiera dei Talebani è stata issata, per la prima volta nella storia, anche nella valle del Panjshir, simbolo della resistenza. E poche ore dopo la repressione violenta delle manifestazioni di Kabul e di Herat, dove secondo alcune testimonianze ci sarebbero state due vittime. Tra quanti contestavano il ruolo giocato dal Pakistan, il sostegno garantito agli studenti coranici. Una parte del Paese li vede come . Loro non se ne curano. Le nomine dell’esecutivo sono state fatte come se il resto dell’Afghanistan non ci fosse. Come se la comunità internazionale non contasse: saranno gli stranieri ad abituarsi all’idea di dover interloquire con ministri/politici designati come terroristi. Non il contrario.

Per ora prevale la preoccupazione che, aprendo all’esterno e mostrandosi flessibili, il movimento perda coesione, in una fase di transizione delicata. Ma è eccezionale la situazione del Paese, in ginocchio, per economia, tenuta istituzionale, coesione sociale. La conquista del potere dei Talebani ha avuto un effetto dirompente sul Paese. Scossoni sociali e politici di lungo termine, paralisi istituzionale e amministrativa di breve termine, dentro una gravissima crisi umanitaria. I Talebani non se ne rendono conto. O sono così convinti del favore di Allah da pensare che serrando i ranghi si eviterà all’Afghanistan una catastrofe.

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