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Talebani al governo e Paese in ginocchio

Pubblichiamo l'articolo di G. Battiston che introduce il dossier dell'ISPI sull'Afghanistan in occasione del G20 straordinario

15 Ott , 2021

Talebani al governo e Paese in ginocchio

L’Afghanistan affronta una delle più delicate transizioni della sua storia recente. La rapidità con cui, dopo due decenni di lotta armata, i Talebani sono arrivati al potere a Kabul e con cui è crollata la Repubblica islamica hanno aggravato la vulnerabilità di un sistema istituzionale già molto fragile, perlopiù dipendente dalle risorse esterne.

Il nuovo assetto politico-istituzionale, della cui stabilità i Talebani si dicono garanti, è ancora in fase di definizione. Come nel caso del crollo delle Torri gemelle, l’evento che ha condotto al rovesciamento del primo Emirato islamico, occorrerà aspettare che le macerie vengano idealmente rimosse per capire la direzione degli eventi e valutare le politiche del nuovo governo dei Talebani, annunciato ufficialmente il 7 settembre. Ancora in fase di definizione è infatti la dialettica interna al movimento, così come il rapporto tra i Talebani e la comunità internazionale da un lato, la società afghana dall’altro.

Sorpresa dagli eventi, la comunità internazionale affronta un dilemma di fondo, di natura politica, etica, pratica, con cui sta faticosamente facendo i conti e a cui cercherà di rispondere anche con il G20 straordinario dedicato all’Afghanistan e promosso dalla presidenza del Consiglio dei ministri dell’Italia. Si tratta, semplificando, di trovare il modo di sostenere la popolazione, sempre più vulnerabile dopo che le riserve della Banca centrale depositate all’estero sono state congelate e i trasferimenti di denaro interrotti, senza legittimare un governo arrivato al potere con la forza e che nega i diritti fondamentali dei cittadini, in particolare delle donne.

Anche se la polvere del terremoto piombato sull’Afghanistan si sta ancora depositando, sotto il profilo dei diritti umani la situazione è già molto preoccupante, spiega Huma Saeed nel suo articolo. La protezione dei diritti umani è stata sempre complicata, anche sotto la Repubblica islamica e anche a causa del fallimento della comunità internazionale, che ha avallato il binomio impunità-corruzione, ma lo spazio politico e sociale per le donne si è già notevolmente ridotto.

La progressiva negazione dello spazio pubblico per le donne si accompagna, nota Shanthie Mariet D’Souza, alla progressiva sottomissione dei media al controllo governativo e alla significativa riduzione dei margini di manovra per esercitare la libertà di espressione e opinione. Le direttive per i media ufficializzate già a settembre sono un segnale inequivocabile, come la violenza dispiegata contro alcuni giornalisti afghani.

Il conflitto, particolarmente violento nei mesi che hanno preceduto la conquista del potere da parte dei Talebani, ha intensificato i movimenti interni della popolazione. Oggi sono almeno 3,5 milioni gli sfollati interni, quasi settecentomila coloro che hanno abbandonato la propria casa dall’inizio dell’anno. I loro bisogni sono acuti, ripetono da settimane le organizzazioni non governative e le agenzie delle Nazioni Unite, che paventano un collasso strutturale: secondo una previsione macroeconomica del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite, se le attuali tendenze non verranno invertite, a metà del 2022 il 97 per cento della popolazione vivrà sotto la soglia di povertà.

L’Unione europea è già divisa sulla risposta istituzionale da dare alla spinta migratoria che arriverà dall’Afghanistan, spiega Eleonora Camilli: “le posizioni viaggiano su un doppio binario: tra rigide chiusure e timide aperture”. Si tratta di “permettere l’accesso alla protezione in Europa solo ai casi più vulnerabili e alle persone a rischio, già identificate dalle organizzazioni internazionali. Rafforzare, infine, le frontiere, interne ed esterne”.

I Talebani sono consapevoli della situazione e, scrive Antonio Giustozzi, “si trovano ora ad affrontare il problema di come appropriarsi dello Stato afghano, ereditato dalla Repubblica islamica, e di farlo funzionare. Ancora di più, devono trovare il modo di finanziarlo”. La postura è difficile, da equilibristi. Occorre stabilizzare il regime, “conciliando la necessità di tenere uniti i Taliban e quella di evitare l’isolamento internazionale”.

La stabilità rivendicata dai Talebani, aggiunge Fabrizio Foschini, potrebbe essere più apparente che reale: “la continuazione di forme di conflitto, incoraggiate da attori esterni o scaturite da squilibri e competizioni interne, non è da escludere”. Soprattutto se dovesse acuirsi la crisi economica, già molto grave, incentivando la rivolta armata di alcune comunità. A fronte delle difficoltà dei Talebani di garantire il controllo del territorio, spiega Claudio Bertolotti, “si contrappone la volontà dei gruppi antagonisti di mantenere o prendere possesso di alcune aree”, in particolare della Provincia del Khorasan dello Stato islamico, che “colpisce il governo dei Talebani così come questi hanno colpito, per venti anni, il governo di Kabul”.

Sul fronte regionale, tutti i Paesi dell’area – rassicurati sulla formazione di un governo di coalizione – nutrono perplessità sul nuovo regime, nonostante il secondo giro di nomine del 22 settembre dimostri una leggera disponibilità al compromesso. “La conclusione della guerra afgana”, spiega Emanuele Giordana, “resta una vittoria personale del premier pachistano”, Imran Khan. Ma potrebbe rivelarsi effimera per Islamabad, se i Talebani dovessero decidere di flirtare con i gruppi jihadisti che operano sul confine tra i due Paesi. Per Raffaello Pantucci, anche Pechino è costretta, “a causa della geografia”, a lavorare con il nuovo governo, che sarebbe pronta a riconoscere, pur di non farlo per prima. Più che le opportunità, in Cina prevalgono le preoccupazioni per l’instabilità del Paese.

Le stesse preoccupazioni che animano le altre cancellerie. Ma che non sono state sufficienti a trovare finora una risposta comune. Né a garantire quei fondi di cui la popolazione afghana ha bisogno. Nella conferenza ministeriale di alto livello indetta per lo scorso 13 settembre dal segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, sono stati raccolti 1,2 milioni di dollari per affrontare l’emergenza umanitaria in Afghanistan, nei prossimi 4 mesi. Per ora è arrivato a destinazione soltanto il 30 per cento del totale promesso. C’è il rischio che la natura autoritaria del regime dei Talebani possa diventare un pretesto con cui una parte della comunità internazionale abdica alle proprie responsabilità.

Questo articolo introduce il dossier dell’ISPI curato da Giuliano Battiston e Nicola Missaglia in occasione del G20 straordinario sull’Afghanistan

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