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Quell’italiano vittima dei gulag

Con l'iniziativa Ultimo indirizzo conosciuto, la fondazione Memorial Italia ricorda "Negro Alice" e pone un targa a Mosca in memoria dell'operaio riabilitato

27 Feb , 2021

Quell’italiano vittima dei gulag

In quel palazzo aveva vissuto, lottato, amato, sperato, coltivato i suoi sogni. A quell’Ultimo indirizzo conosciuto aveva passato la sua vita, prima di essere denunciato, arrestato nel 1937 e confinato in uno dei lager staliniani ( l’Usol’skij lager) dove nel 1944 trovò la morte all’età di quarant’anni. Quella di Negro Alice, pseudonimo di Luciano Lombardi, operaio biellese emigrato in URSS per seguire l’ideale della società comunista, è la storia di una delle vittime italiane (oltre un migliaio in tutto) della repressione staliniana , resa nota dalla ricerca curata dall’Associazione Memorial Italia. Il 28 febbraio, a Mosca su quel palazzo viene posta una targa per ricordare la vita di Lombardi, narrata e ricordata da Memorial Italia. La fondazione è parte dell’associazione “Memorial” creata in Russia negli anni Ottanta del secolo scorso. Il suo terreno di azione culturale (con attività di ricerca, convegni, mostre, seminari, lezioni e raccolta di documentazione e memorie) è la memoria delle violazioni dei diritti umani e la difesa dei diritti oggi, con particolare attenzione rivolta alla storia dell’Unione Sovietica e alla Russia post-sovietica.

In seno a Memorial è nata l’iniziativa “Ultimo indirizzo conosciuto” (in russo “Poslednij adres”) che intende perpetuare la memoria delle vittime delle repressioni politiche commesse da e in nome dello Stato sovietico e che si ispira al progetto commemorativo europeo delle “Pietre d’inciampo “(Stolpersteine), creato nel 1992 in Germania per ricordare le vittime della Shoah, attivo in 650 città di 11 paesi europei.

Il progetto Ultimo indirizzo conosciuto, che ha come principio fondatore il motto “Un nome, una via, una targa”, intende applicare – spiega una nota di Memorial-Italia – migliaia di targhette commemorative di modello uniforme sulle facciate degli edifici che rappresentano l’ultimo indirizzo dove hanno vissuto le vittime delle repressioni. Grande come una cartolina, ogni targhetta commemorativa è dedicata a una singola persona, a un indirizzo preciso. L’iniziativa dell’applicazione di ogni targhetta parte a sua volta da un singolo cittadino. Il progetto prevede la creazione di una banca dati che sarà accessibile a tutti.

Per la ricerca e la verifica delle informazioni che appariranno sulle targhette commemorative, i membri dell’associazione Poslednij adres utilizzano come fonte principale la banca dati dell’associazione non governativa Memorial (Mosca), che ha raccolto informazioni archivistiche riguardanti circa 3,1 milioni di cittadini sovietici vittime delle repressioni politiche e compilato decine di Libri della memoria con i loro dati (in Russia, riguardano 12 milioni di persone).

Da lì si desumono le notizie degli italiani vittime dei gulag e lì si può leggere la storia, di “Negro”, come Lombardi si faceva chiamare. Nato a Tollegno (BI) il 6 aprile 1904, di famiglia operaia, dall’età di 14 anni aveva lavorato come tipografo alla tipografia sociale di Biella. Come il padre, si era iscritto prima al partito socialista e dal 1921 al PCd’I. Arrestato per aver partecipato a un comizio, nel 1931 emigra in Francia, a Parigi frequenta gli emigrati politici e lavora come tipografo. Chiede all’Ambasciata dell’URSS il visto e si reca a Leningrado attraverso la Finlandia. In Italia lascia i genitori, il fratello minore Aldo e il figlio del primo matrimonio Guglielmo. Giunge a Mosca, inviato dal partito comunista italiano, per studiare
A novembre del 1931 arriva in Urss, dove frequenta la scuola MLŠ. Nel 1932 si iscrive alla VKP(b) e lavora alla tipografia n. 39 (pubblica le opere di Lenin in italiano). Nel 1932 sposa Maria Karš, dalla quale ha due figlie, Atea (n. 1934) e Lucia (1937). Nel 1933 è trasferito alla tipografia n. 7 “Iskra Revoljucii”, dove due anni dopo diventa vice-caporeparto. Chiede di uscire dall’URSS ma non ottiene il permesso dal PCI. Nel 1934 chiede la cittadinanza sovietica, che però gli viene rifiutata. Denunciato da un compagno di lavoro italiano – racconta la Banca dati di Memorial – nel 1936 è espulso dalla VKP (b) e licenziato. Viene accusato dalla direzione della tipografia di “metodi capitalisti” e di propaganda antisovietica. Nei successivi quattro anni cerca invano di essere reintegrato nel partito e trovare un impiego. Si rivolge più volte all’ambasciata italiana per ottenere il passaporto in sostituzione di quello italiano lasciato a Parigi e poter rientrare in Italia.
Arrestato una prima volta a Mosca nel 1937, ma subito dopo liberato, nel 1938 si presenta all’Ambasciata per ottenere il passaporto, ma gli viene negato. Nel febbraio 1941 è di nuovo arrestato con l’accusa di “propaganda trockista, intenzioni terroriste e rivelazione dei metodi di lavoro dell’NKGB”. Condannato a 8 anni di lager il 16 settembre 1941 , viene inviato all’ Usol’skij lager (nel territorio di Perm’), dov muore il 27 maggio 1944. Verrà riabilitato il 28 maggio 1957 per decisione del Procuratore generale dell’URSS.

La banca dati di Memorial è impiegata anche per l’iniziativa Restituzione dei nomi, organizzata a Mosca ogni anno in memoria delle vittime delle repressioni: cittadini volontari vengono a leggere ad alta voce i loro nomi in piazza Lubjanka a Mosca, proprio nel luogo dove si trova la sede degli organi di sicurezza responsabili delle repressioni, che hanno avuto nomi diversi durante il periodo sovietico (OGPU-NKVD-KGB) e dove la FSB ha tuttora la sua sede. Il finanziamento dell’organizzazione – della fabbricazione e dell’installazione delle targhette commemorative – è assicurato dalle donazioni dei cittadini, senza ricorso a sovvenzioni del governo. La spesa per una targhetta non supera i 4000 rubli (circa 50 euro). La targhetta del progetto “Ultimo indirizzo conosciuto” è stata creata a partire da uno schizzo disegnato da un noto architetto russo, Aleksandr Brodskij. Si tratta di un rettangolo di acciaio inossidabile di cm. 11 per 19. Le informazioni essenziali riguardanti la vittima sono inserite a mano in alcune righe, con dei punzoni a lettere maiuscole, a volte in due lingue.

Il 10 dicembre 2014, Giornata internazionale dei diritti dell’uomo, le prime diciotto targhette commemorative sono state installate su nove edifici di Mosca. Al 9 giugno 2020, più di 1015 targhette commemorative risultavano già installate, nel quadro del progetto Ultimo indirizzo conosciuto, in 56 città e villaggi della Russia.

Le storie degli italiani morti nei gulag sono venute alla luce con l’apertura degli archivi sovietici e l’impegno del gruppo Memorial a Mosca, in particolare grazie alla ricerca condotta da Francesca Gori, Emanuela Guercetti ed Elena Dundovich Reflections on the Gulag: With a documentary appendix on the Italian victims of repression in USSR (2003), condensata nel volume Italiani nei lager di Stalin (Firenze, Laterza 2006).

Nel corso degli anni Venti e sino ai primi anni Trenta del Novecento – racconta quella ricerca – all’emigrazione tradizionale delle comunità italiane di Kerc’ e di Mariupol, in Crimea, si affiancò quella cosiddetta politica, composta da comunisti, anarchici, socialisti e antifascisti in generale. Mosca divenne meta di continui pellegrinaggi politici: vi si recavano spesso, ma per brevi periodi, i dirigenti del PCI di medio e alto livello, i militanti che venivano inviati a lavorare come funzionari negli organismi di partito e, infine, i quadri che dovevano studiare alle scuole di partito. Si può calcolare che vi fossero in URSS, all’epoca, circa 4000 italiani.

Complessivamente furono circa 1020 quelli che vi subirono qualche forma di repressione tra il 1919 e il 1951: fucilazione, internamento in un campo di lavoro forzato, confino, deportazione, privazione dei diritti civili, perdita del lavoro, emarginazione. Almeno 110 furono fucilati e 140, condannati al lavoro forzato, mentre una cinquantina di essi fu inviata al confino, mentre più di 550 membri delle comunità italiane in Crimea furono deportati nel Kazachstan del Nord nel 1942.
Molti, nonostante tutto, hanno continuato a credere nell’ideale del comunismo e chi di loro è riuscito a salvarsi, spesso è tornato alla vita civile con rassegnazione e senza speranza. Alcuni invece hanno sentito il dovere di denunciare il sistema totalitario sulla cui natura si erano illusi, soprattutto per onorare i compagni scomparsi. In questa missione hanno incontrato enormi difficoltà, hanno rischiato nuove persecuzioni e sono stati oggetto di discriminazione e di ostracismo.

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