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Guerra urbana in Afghanistan

I Talebani conquistano il primo capoluogo di provincia e assediano molte città. La rappresentante speciale dell'Onu chiede una tregua immediata

7 Ago , 2021

Guerra urbana in Afghanistan

È Zaranj, nel sudovest dell’Afghanistan al confine con l’Iran, il primo capoluogo di provincia a cadere nelle mani dei Talebani, che ieri hanno conquistato e occupato la base militare, l’aeroporto, il compound del governatore e la prigione, da cui sono stati liberati decine e decine di detenuti. Ieri i Talebani hanno anche rivendicato un omicidio eccellente: quello di Dawa Khan Menapal, a capo del Centro per l’informazione e i media del governo e già vice-portavoce del presidente Ashraf Ghani. È stato freddato a Kabul. Il suo omicidio fa seguito al tentativo non riuscito di due giorni fa di uccidere il ministro della Difesa, Bismillah Khan Mohammadi, nella sua residenza di Kabul.

Rientra anche in una più ampia campagna di omicidi mirati contro funzionari del governo, burocrati, giudici, giornalisti, attivisti per i diritti umani. Uno dei portavoce del movimento ha dichiarato che la campagna sarà intensificata nei prossimi giorni, ma va avanti da diversi mesi. Serve a togliere di mezzo chi non è allineato, nella maggior parte dei casi con poco clamore, a dimostrare la debolezza delle istituzioni e a mandare un messaggio a tutti gli altri: potrebbe toccare anche a voi.

Nei giorni scorsi, alla vigilia della spallata militare dei Talebani su Zaranj, centinaia di persone hanno cercato di lasciare l’Afghanistan, solo per essere respinte dalle autorità iraniane. I Talebani hanno conquistato la città senza incontrare resistenza. Secondo il vice-governatore della provincia di Nimruz, le autorità locali avrebbero chiesto ripetutamente a Kabul i rinforzi, che non sono arrivati. Circa duecentomila residenti, geograficamente molto isolata, Zaranj è uno dei capoluoghi minori del Paese. Ma ha un alto valore strategico, perché da lì passa una buona parte dei traffici transfrontalieri con l’Iran. In questa fase, il controllo dei posti di confine più che ad accumulare risorse e tasse serve ai Talebani per sottrarle al governo. Come ricorda il ricercatore David Mansfield, Teheran potrebbe però non gradire che il commercio con l’Afghanistan passi tutto per le mani dei Talebani.

Al di là del valore economico della conquista di Zaranj, c’è quello simbolico. Sulle reti social dei simpatizzanti talebani rimbalzano i video dei barbuti che festeggiano sui veicoli militari sottratti all’esercito. Una prova galvanizzante, che aiuta anche sugli altri fronti aperti. Tra quelli maggiori, c’è Lashkargah, dove si combatte da dieci giorni e da cui arrivano immagini di negozi in fiamme ed edifici bombardati. Sono frammentarie e drammatiche le notizie che arrivano dal capoluogo della provincia meridionale dell’Helmand. E’ ancora in corso l’operazione militare lanciata mercoledì notte per “liberare” la città dai Talebani. Annunciata da Sayed Sami Sadat, giovane generale che in questi giorni rassicura la popolazione promettendo che “tutti i terroristi verranno uccisi”, l’operazione coinvolge le forze speciali e prevede bombardamenti. La popolazione è stata invitata a lasciare le proprie case, ma nella maggior parte dei casi è rimasta intrappolata, presa tra due fuochi. Con i giornalisti sul campo limitati nel loro lavoro, sui social media si rincorrono le narrazioni delle rispettive propagande. L’esercito vanta progressi e riconquiste, i Talebani rilanciano, accusando il governo di uccidere civili con le operazioni dal cielo. Quel che è certo è che la popolazione è in estrema difficoltà. Il bilancio di vittime e feriti si potrà fare soltanto quando l’operazione sarà conclusa.

Continuano gli scontri anche a Shibergan, il capoluogo della provincia settentrionale di Jawzyan, feudo dell’ex signore della guerra, oggi maresciallo, Abdul Rashid Dostum. Sabato, mentre a Kabul Dostum partecipava a una riunione con Abdullah Abdullah, a capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale, con Ismail Khan, vecchio leader del jihad anti-sovietico poi fiero oppositore dei Talebani e altri leader jihadi, i Talebani si facevano fotografare di fronte alla sua residenza di Shibergan. Oggi, domenica 7 agosto, pare che la città sia stata conquistata dai Talebani e che le forze e le autorità governative siano assediate nell’aeroporto cittadino.

Non è concluso il tentativo dei Talebani di stringere d’assedio la città di Herat, nell’omonima provincia occidentale. Sono tornati intensi gli scontri nella periferia della città, difesa anche dall’ex signore della guerra Ismail Khan. Mentre nella provincia di Kandahar invece i Talebani controllano tra gli altri il distretto di Spin Boldak, al confine con il Pakistan. Due giorni fa, in disaccordo con le autorità pachistane sui criteri di attraversamento, hanno deciso di chiudere il lato afghano del confine. I Talebani contestano anche la decisione del dipartimento di Stato Usa di allargare i criteri con cui ammettere negli Stati Uniti coloro che hanno collaborato con Washington. “Un’interferenza inaccettabile”, tuonano dal loro sito web ufficiale. Quella decisione non è piaciuta neanche alla Turchia. Secondo Ankara, favorirà un’ulteriore spinta migratoria verso la Turchia. Ma la spinta è già in corso. Fortissima.

“Siamo entrati in una nuova era del conflitto” e “non c’è più tempo da perdere”, ha dichiarato ieri con toni estremamente preoccupati Deborah Lyons durante una riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza dell’Onu dedicata all’Afghanistan. Secondo la Rappresentante speciale per l’Afghanistan del Segretario generale dell’Onu, quella di “attaccare le città è una decisione deliberata, strategica dei Talebani”, che hanno accettato “la carneficina” che ne consegue. Lyons ha evidenziato le aspettative disattese. L’accordo bilaterale tra Stati Uniti e Talebani del febbraio 2020 avrebbe dovuto condurre alla riduzione della violenza: “non c’è stata”. L’inizio del dialogo tra i Talebani e il governo di Kabul, nel settembre 2020, avrebbe dovuto ridurre la violenza: “non è stato così”. Il ritiro delle truppe straniere avrebbe dovuto portare la pace: nei primi sei mesi del 2021 invece c’è stato un incremento del 50 per cento delle vittime civili. Deborah Lyons ha chiesto al Consiglio di sicurezza una dichiarazione senza ambiguità. Che costringa la leadership talebana a fare i conti con le proprie responsabilità. Gli attacchi vanno fermati subito; è indispensabile un cessate il fuoco; nessun governo imposto con la forza verrà riconosciuto; la libertà di movimento dei leader è legata ai progressi nel processo di pace. Senza progressi, le esenzioni dal bando sul divieto di movimento non verranno prorogate. “Le prossime settimane saranno decisive”, ha sostenuto Lyons.“La violenza va fermata ora”, ora che “sulle aspettative di pace degli afghani è calata un’ombra scura”. La Rappresentante Speciale dell’Onu ha anche detto di prevedere un raddoppio dei migranti afghani.

Chi può, infatti, lascia l’Afghanistan, dove la progressiva avanzata militare talebana ha innescato la protesta serale degli “Allah Akbar”, ma ha messo ulteriormente a nudo la debolezza del governo. Tanto che nei circoli diplomatici occidentali si dà per imminente l’avvicinamento dei Talebani alla capitale, Kabul. A Kabul, prima il presidente Ashraf Ghani poi il capo dell’Alto consiglio per la riconciliazione nazionale Abdullah Abdullah hanno ricevuto la chiamata del segretario di Stato Usa, Antony Blinken, che ha “reiterato l’impegno statunitense per una soluzione politica” al conflitto. Ma l’intensità del conflitto è tale da rendere difficile immaginare che Kabul e i Talebani riescano a trovare un compromesso, soprattutto in tempi brevi. L’avanzata militare dei Talebani è stata inoltre così efficace da modificare gli equilibri interni al gruppo dirigente e alla Rabhari shura, il massimo organo di indirizzo politico, guidato da Haibatullah Akhundzada. Come spiegato ieri su Radio3Mondo dal ricercatore Antonio Giustozzi, la componente militare, che spinge da mesi per la spallata su Kabul, sta progressivamente guadagnando forza rispetto a quella politica, più incline al negoziato. Un effetto diretto dei progressi territoriali: in pochi mesi, da quando i Talebani hanno intensificato la loro offensiva, hanno ottenuto il controllo di almeno la metà dei circa 400 distretti del Paese.

Per molti afghani, l’intransigenza dei Talebani dimostra ancora una volta il fatto che sono eterodiretti. Dietro, ci sarebbe Islamabad. Tra le voci istituzionali più critiche verso il Pakistan c’è quella di Amrullah Saleh, vice presidente e già capo dei servizi segreti, che nei giorni scorsi ha parlato dell’avanzata talebana come di un’occupazione straniera. Ricordando che è pressoché impossibile sconfiggere un gruppo di insorti, se le loro basi e retrovie sono in un altro Paese. Poi Saleh si è unito a una delle manifestazioni serali di questi giorni, scandite dagli “Allah Akbar”.

Questo articolo assembla due articoli usciti il 6 e 7 agosto sul manifesto.

La foto è dell’autore

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