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Alex Bodea: appunti visuali

Dal catalogo del Baga Jaga Fest, appena concluso a Roma, un'intervista con l'artista Alex Bodea

13 Apr , 2022

Alex Bodea: appunti visuali

Alex Bodea (Cluj-Napoca, Romania, 1981) si è diplomata all’Università di Arte e Design di Cluj-Napoca. Il suo lavoro è basato sulle intersezioni tra arte figurativa, reportage e fumetto. Ha realizzato reportages disegnati per istituzioni come la Fondazione Serralves di Oporto e il Martin-Gropius-Bau di Berlino, e le sue storie brevi sono state pubblicate su «The Guardian», «Tagesspiegel», «Stripburger», e sulla rivista femminista rumena «Cutra». Il suo primo graphic novel è The Fact Finder (BeccoGiallo, 2020).

Anche se costruito solo di particolari distribuiti nel vuoto, il tuo romanzo grafico The Fact finder colpisce per la sua densità concettuale. L’impressione è che all’inizio bisogna imparare una qualità di sguardo e attenzione specifiche per poter accedere al racconto. Al tempo stesso, l’attività del protagonista, che consiste nel decifrare la realtà collegando immagini e storie, può sembrare una riflessione sul funzionamento e sulle potenzialità del fumetto…

In effetti per questo libro ho creato un particolare linguaggio iconico-verbale perché racconta di un mondo che inizia a perdere il suo contenuto visuale e tutto ciò che rimane sono storie, ricordi, parole. Nella storia compaiono gli intrux, un fenomeno ottico a forma di codice a barre che ostacola la visione di parti della realtà, diffondendosi per il globo come un virus. 

Questa è la premessa che ho creato: cosa succederebbe se il mondo venisse visivamente cancellato? In generale, si tratta di un buon campo d’azione per i fumetti perché sono essi stessi un linguaggio visuale. I fumetti mostrano ma, nel mio libro, insieme nascondono. La particolarità dello stile sorprende i lettori soprattutto nel corso del primo capitolo, spingendoli ad aprire davvero gli occhi all’atto di vedere. Dopo il primo capitolo, i fili visuali iniziano a distendersi, c’è più familiarità con lo svilupparsi delle storie e delle memorie, il mondo torna al proprio posto. 

Nel tuo sguardo, così come possiamo seguirlo nei diversi linguaggi artistici che hai utilizzato, si avverte come un continuo interrogarsi riguardo le cose, le persone, gli ambienti, le città… Nelle interviste fai spesso riferimento al tuo progetto Visual notes, vuoi raccontarcene principi e modalità?

Le Visual notes sono la struttura di tutti i miei progetti narrativi. È iniziato tutto nel 2011, quando dalla mia città natale Cluj, in Romania, mi sono trasferita in Germania, a Berlino, e sono stata bombardata (in maniera piacevole) dall’ambiente della città, molto stimolante dal punto di vista visivo. 

Mi piacevano particolarmente i trasporti pubblici (tram e metro) dove potevo osservare centinaia di persone di tutti i tipi, che salivano e scendendo dalle carrozze. Così ho iniziato a prendere appunti su un piccolo taccuino. Ogni appunto consisteva in una semplice linea disegnata (sintetica, quasi un logo) che rappresentava ciò cui avevo appena assistito (una testa, un gesto, una coincidenza), accompagnata da una breve descrizione sottostante, con il luogo e la data (fino all’ora precisa e al minuto). Ognuno di questi appunti funziona come una microstoria. 

Ho preso varie centinaia di appunti come questi nel corso degli anni, sviluppando il mio progetto di “appunti visuali” in un’enciclopedia di microstorie. E mi sono detta: un giorno trasformerò questa esperienza di vedere il mondo come insieme di microstorie in un libro. E così ho fatto, con il graphic novel The Fact Finder

Il signor Hesus, il protagonista, è un immigrato, e il suo “superpotere” sembra nascere dallo spaesamento, dalla sua distanza rispetto all’ambiente che lo circonda. In che modo influisce questa condizione? E quanto c’è in questo della tua esperienza personale?

La distanza dall’ambiente è in effetti essenziale per avere il superpotere di vedere attraverso gli opprimenti sopramenzionati intrux. Allo stesso modo, chi siede ai margini ha una prospettiva migliore di ciò che succede. Non voglio dire che questa sia la condizione essenziale di un migrante o di un espatriato, il signor Hesus è un caso estremo di migrante non integrato (espressione molto discutibile), il quale è piuttosto sperduto nel nuovo ambiente, ma anche estraniato dalla sua terra d’origine. Per lui sia il Paese adottivo che quello d’origine sono terre straniere. Questo riflette alla lontana anche il mio vissuto, chiunque viva al di fuori del proprio Paese natale deve aver avuto un momento o due così, ma non è l’unica esperienza che ho avuto, le cose sono più sfumate. Recentemente ho conosciuto un restauratore d’arte siciliano che per decenni aveva programmato di tornare in Sicilia una volta in pensione, ma che poi, a un certo punto, ha iniziato a vedere che la sua patria era cambiata così tanto che non poteva più tornarci, non la capiva più. 

Per il signor Hesus osservare (vedere attraverso la barriera rappresentata dagli Intrux) è “trovare fatti” e, soprattutto, collegare in modo non prevedibile persone e cose a delle storie: una resistenza al potere normalizzante dell’algoritmo. Il senso umano e politico di questa operazione diventa sempre più chiaro man mano che si continua a leggere. Il messaggio è tanto più forte perché Hesus e il suo assistente Alois non sono eroi e nemmeno figure esemplari, ma operano in qualche modo come degli artisti. Il rapporto tra impegno ed espressione artistica può essere complicato e non privo di rischi, come funziona nella tua arte?

Nel libro, mentre il mondo viene eliminato visualmente, Hesus, aiutato dal suo assistente androide ricondizionato Alois, prova a rimettere insieme i pezzi raccontando tutte le storie che gli vengono in mente in connessione con quanto egli vede sotto la forza nasconditrice degli intrux. Egli, ansioso ipocondriaco, ha in realtà una voglia di vivere vorace e un’avida curiosità verso il mondo, che prova a ricostruire con le sue parole e con le immagini che gli passano per la testa. Credo che ogni artista abbia, come dici tu, questa complicata relazione con il mondo e anche un grande amore per esso, una dedizione che porta a modellarlo in una certa forma, a esplorarlo e a metterlo in discussione. Io, come artista, sono in una simile relazione di amore-odio con ciò che mi ispira. 

Nel tuo disegno convivono una dimensione gestuale, istintiva e una dimensione sintetica, ideogrammatica, quasi una sorta di isotype emotivo. Il disegno e la scrittura sono quantomai vicini. Vorrei chiederti del processo creativo da cui nasce questo stile e perché pensi che sia quello giusto per progetti come The Fact finder e Six breakfasts, one lunch.

Come dicevo, lo stile dei miei disegni e delle mie narrazioni deriva dallo stile dei miei appunti visuali: un’istantanea, uno stenogramma, una didascalia sintetica. Sono appunti presi sul momento da un testimone. Per Six Breakfasts, one lunch, che è una breve cronaca della mia esperienza di volontaria in un centro per rifugiati, questo stile per appunti funziona come un reportage. In The Fact Finder, in cui si tratta di guardare e tenere insieme un mondo in disintegrazione attraverso micro storie, lo stile è in armonia con il fatto che Hesus è un testimone che prende appunti per sé stesso. 

Vorrei anche chiederti del tuo rapporto con i fumetti e con la narrazione in generale. Perché trovo una componente narrativa anche in quella parte del tuo lavoro che non è immediatamente identificabile con il fumetto.

Il mio rapporto con la narrazione, come per quasi tutti, risale all’infanzia. Mi affascinavano le storie, così tanto che quando me le raccontavano non volevo addormentarmi (cosa che mio fratello faceva invece copiosamente), così torturavo i miei genitori che volevano andare a letto per farmi dire cosa sarebbe successo all’eroe fino all’ultima parola. Tra i bambini ero nota per conoscere un gran numero di storie, specialmente nelle notti tempestose durante i campi di sci invernali a cui prendevo parte, quando gli altri bambini erano troppo spaventati per addormentarsi e io raccontavo loro delle storie per tranquillizzarli. Le storie hanno il potere di curare. 

Mi sono imbattuta nei fumetti quando qualcuno mi ha dato alcuni numeri di Pif et Hercule, che in qualche modo erano tollerati dal regime. Ricordo di aver tremato per l’eccitazione guardando degli scarabocchi neri disegnati direttamente all’interno del balloon; realizzai con stupore che sostituivano un’imprecazione. Ero sbigottita dal fatto che si potesse suggerire un contenuto verbale con dei tratti energici, folli. Più tardi, prima dei miei trent’anni, ho letto Persepolis di Marjane Satrapi e mi si è aperto un modo completamente diverso di fare fumetti. Come hai detto tu, nel mio lavoro artistico il modo di narrare le storie va oltre i fumetti; nei miei disegni, nei dipinti, nelle performance c’è sempre una qualche storia, un’istantanea, una vignetta. Qualcosa che organizza il complesso materiale offerto dalla vita. 

Qual è oggi la situazione del fumetto in Romania? Pensi che i fumetti si stiano aprendo uno spazio tra le altre arti?

Ho letto Persepolis in Romania, l’ho comprato in una libreria di quartiere (una libreria generalista), tradotto in rumeno dalla casa editrice Editura Arta. Questo editore ha una collana di graphic novel gestita da una coppia di curatori chiamata Jumătatea Plină, un nome che significa, in maniera molto ottimistica, la metà piena del bicchiere, opposta alla metà vuota. Questo riassume la situazione nel mio Paese, c’è sempre un certo ottimismo nel fatto che i fumetti avranno più seguito e significheranno di più in futuro e ci sono anche giovani autori che stanno realizzando cose notevoli (le sorelle Surducan, Sorina Vazelina tra gli altri). 

Sono affascinato dalle opere a tempera e a pastello che stai postando negli ultimi mesi. Da quello che posso intuire, sembra che il tuo prossimo progetto riguarderà la condizione femminile e anche una ricerca pratica sulle tecniche artistiche del passato. Puoi raccontarci qualcosa di più?

Il mio prossimo progetto va in una nuova direzione. È la storia di una restauratrice d’arte che riporta alla luce un dipinto nascosto, coperto, realizzato nel passato da una donna e raffigurante varie storie con le donne nella sua vita. Come quei quadri del primo Rinascimento che assomigliano quasi a dei fumetti, e che utilizzavano una sorta di balloon, rotoli di parole che uscivano dalle bocche dei personaggi, una cosa del genere. Dunque mantengo ancora la forma delle micro storie che mi piace tanto, ma allo stesso tempo mostrerò anche il processo della pittura (e realizzerò io stessa, prima di tutto, il dipinto “nascosto”). Sarà un libro allo stesso tempo sull’essere donna e sulla pittura. Avrà due diversi stili visuali, uno lineare per la storia e uno pittorico per i dipinti. Il secondo assomiglierà ai quadri a tempera che hai menzionato, quindi dovrebbe rivelarsi un’accostamento piuttosto particolare. 

Recentemente ho ottenuto una borsa di studio dal Senato per la Cultura di Berlino per questo progetto. Questo mi ha consentito di conoscere due restauratrici, di visitare musei d’arte in diverse città (inclusa Venezia), di acquistare e consultare libri sulle tecniche pittoriche degli antichi maestri e di frequentare alcuni laboratori di pigmenti; proprio oggi ho visto l’ultimo mulino a vento che macina pigmenti (si trova in Olanda). Ho anche guardato senza sosta canali youtube di pittori di ogni parte del mondo che studiano le tecniche degli antichi maestri. Chi avrebbe mai detto che esiste una rinascita della pittura su youtube, con persone che amano e studiano il mestiere e tentano di adattarlo alle necessità contemporanee? In generale sono molto emozionata per questo progetto e spero di poter trovare le condizioni favorevoli per realizzarlo.

L’immagine di apertura è la copertina del fumetto The Fact Finder, pubblicato dalla casa editrice Becco Giallo

Questa intervista è già stata pubblicata sul sito Le sabbie di Marte, che ringraziamo.

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