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A Roma, il Baga Jaga Fest

A Roma, dall'8 al 10 aprile si tiene il Baba Jaga Fest. Prodotto da Pingo, Industrie Fluviali e Lostudiodorme, con la direzione artistica di Serena Dovì e di Alessio Trabacchini, autore di questo testo, il Baga Jaga porta in Italia “storie e disegni dall’Europa Orientale”.

4 Apr , 2022

A Roma, il Baga Jaga Fest

Abbiamo immaginato un piccolo festival di fumetto senza confini, fatto di strade e non di frontiere, di culture intrecciate, di artisti viandanti. Un festival con gli occhi aperti sul presente e rivolto alla narrazione per immagini, la più ibrida delle arti, Babele proliferante di stili e forme in continua evoluzione. Un festival, infine, che guarda all’Europa dell’est, senza esotismo (perché l’est è un altrove solo in misura della nostra distrazione), ma con l’ansia di recuperare il tempo perduto, di accogliere visioni e parole nuove. Questo est, sommariamente definito dal Baltico al Mediterraneo, dalle Alpi agli Urali e oltre, lo vediamo permeabile e in mutazione. Non come una somma di stati, lingue e tradizioni, ma come un bosco, con i suoi chiari e le sue zone d’ombra.

Per orientarci in questo bosco, che tanto ci attraeva quanto ci era ignoto, abbiamo scelto quella che ci sembrava la guida migliore, per quanto pericolosa. Terrificante e saggia, strega e guaritrice, nemica spietata e aiutante salvifica: la Baba Jaga abita da sempre il folklore slavo, volando nel suo mortaio e accogliendo i viaggiatori all’interno di un’isba che, quando serve, si muove su due zampe di gallina. A volte vuole mangiarseli e a volte no, ma sempre permetterà loro di imparare qualcosa. È semplice riconoscere, dietro la vecchia megera, l’antica dea dei boschi, della terra. Tanto semplice che l’artista lituana autrice del manifesto di questa prima edizione, senza ricevere indicazioni specifiche, ha evocato la nostra guida nella forma che ci pare più vera e più giusta.


Akvile Magicdust, Raganos (“Streghe”), 2022

Ora scriviamo e fuori c’è la guerra. La nostra isba è ferma sulle rive del Tevere e noi continuiamo a lavorare, sgomenti eppure al sicuro rispetto a chi rischia la vita e quella percentuale di libertà per cui forse vale la pena morire, con il privilegio della nostra amarezza.

Scriviamo e pensiamo a come sarà il mondo quando queste righe verranno pubblicate, cercando di capire cosa possiamo fare. Sappiamo di essere ignoranti, ma di avere voglia di ascoltare, che ancora ci ripugna la violenza, che preferiamo i sentieri alle autostrade, i boschi alle frontiere, che amiamo le differenze, le andiamo a cercare. Per questo, delle artiste e degli artisti che partecipano al festival e che hanno contribuito a questo catalogo, più che le connessioni ci interessano le peculiarità, e il modo in cui dialogano.

Scopriamo così il realismo visionario di Olga Lavrenteva, russa di San Pietroburgo, con il suo bianco e nero organico e vorticoso. Ritroviamo Aleksandar Zograf, che nella selezione di questo primo Baba Jaga Fest riveste anche il ruolo di precursore e maestro. Zograf ha da tempo trovato una sua via per fondere la cronaca con l’onirismo e, dopo le sue storie, ci presenta l’opera di Veljiko Kockar, autore serbo ucciso nel 1945,
qui per la prima volta tradotto in italiano. Eliana Albertini ci porta in una Jugoslavia immaginaria, potremmo dire mai esistita, di cui pure ci rimangono gli echi e le tracce. Maurizio Lacavalla inizia su queste pagine a raccontare o, meglio, a ricostruire la storia del proprio inarrestabile padre, alla ricerca del suo posto nella Bulgaria di oggi. Kalina Muhova, Bulgara residente a Bologna, ci fa percorrere le strade di Sofia per mostrarci il doppio cuore dell’e- spatriato. Daria Bogdanska, polacca che vive a Malmö, racconta il suo deciso percorso dal fumetto all’impegno concreto nel sociale. Il destino ha portato più volte la matita di Alice Milani verso est, di lei possiamo leggere in anteprima un episodio dalla biografia di Sofia Kovalevskaja. Alex Bodea, romena di base berlinese che proprio Milani ha pubblicato in Italia, esercita le sue tattiche di sguardo e di disegno nel corso di una gita romana. Andrea De Franco, al contrario, imbocca senza esitazio- ne la strada della trasfigurazione fiabesca. La sezione finale è interamente affidata alla gestione di kuš!, casa editrice lettone che nel corso dei suoi quindici anni si è affermata come luogo di eccellenza per scoprire il fumetto del presente e immaginare quello del futuro, un punto di riferimento a livello globale. Anche i cinque autori baltici selezionati da kuš!, spesso attivi in forme espressive che eccedono il fumetto, brillano per divergenza di visione: dal silenzio essenziale di Pauls Rietums all’ironico simbolismo di Gvidas Pakarklis. Dal folklore surrealista di Mark Antonius Puhkan al gioco ritmico di Jana Ribkina. Fino all’immersione nella natura di Akvile Magicdust, che di Baba Jaga Fest ha anche interpretato immagine e spirito con il suo manifesto.

Non rimane che leggere, entrare nel bosco. «Cerchi l’avventura o sfuggi la sventura?». A chi, dopo aver vagato a lungo nel bosco, supera la staccionata di ossa e si affaccia nell’isba sostenuta dalle zampe di gallina, la Baba Jaga pone di solito questa domanda. Vorremmo che fosse vera sempre la prima opzione, sappiamo quanto sia reale la seconda. Leggiamo, guardiamo, ascoltiamo, scriviamo, disegniamo non per voltare le spalle alla realtà, ma per darle forma, cambiarla.

Questo articolo è già uscito sul sito Le sabbie di Marte, che ringraziamo e che vi invitiamo a consultare.

L’immagine di copertina è una parziale riproduzione della locandina del Baga Jaga Fest, il cui programma è consultabile qui

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